
Come al solito, trattasi di polemica all’italiana, con un occhio alle tirature sia del libro che delle riviste. La pratica del BDSM, se consapevole e voluta, è una delle tante forme dell’erotismo, e come tale non condannabile di per sé, a meno di non volerla giudicare con delle categorie altre, quali il ruolo della donna nella società, il maschilismo opprimente, la violenza e la prevaricazione, non applicabili al contesto. Attiene ad una sfera privatissima, non sociale né pubblica, quella dell’espressione della propria sessualità e del gioco erotico. D’altra parte, semplificare il fenomeno ascrivendolo ad una generalizzata voglia delle donne di essere sottomesse a tutte le latitudini è un altro errore di prospettiva. In realtà, nessuno di chi scrive pare sapere davvero che cosa sia il vero BDSM, se non per stereotipi e rappresentazioni feticiste di un immaginario torbido, viziato da un cattocomunismo di fondo che inficia qualsiasi tentativo di approccio neutrale.
Che a scatenare tale tempesta di cervelli e levata di scudi sia stato un libro povero e imbarazzante come “Cinquanta sfumature di grigio”, è poi sintomatico. Ho provato, giuro, a leggerlo, e prima di lui ho dovuto leggere (per dovere professionale) alcuni romanzetti della collana Passion di Harmony, dedicata alle storie “intrise di sensualità e tentazioni”. Non ho notato una grande differenza tra questi libri da largo consumo distribuiti nelle edicole, e il pompatissimo romanzo disponibile in libreria, e per le più pudiche fruibile discretamente in formato ebook. Linguaggio misero, descrizioni esasperanti di sguardi e sensazioni postadolescenziali, erotismo edulcorato in forma di Bignami ad usum delphini, dove il riferimento è la casalinga americana non metropolitana, frustrata e repressa, lontana anni luce da quella tanto sbandierata spregiudicatezza dei protagonisti del libro. E’ una Liala pruriginosa, una storia d’amore e di frustini per frustrate, meno eccitante di un Palio di Siena. E’ un’operazione di marketing editoriale, come prima di questo la saga di Twilight (cui l’autrice è esplicitamente debitrice, essendo il libro nato da un forum di fan dei vampiri bellibelli in modo assurdo) e i pariolini di Moccia, un fenomeno rappresentativo dell’archetipo di una relazione sessuale e sentimentale nell’epoca contemporanea, dove la donna accetta di essere femmina ma non viene davvero umiliata e mantiene la sua purezza di fondo abbandonandosi al piacere dell’abbandono totale, e l’uomo è virile, geloso e possessivo ma è anche generoso, protettivo e alla fine si converte all’amore romantico. Una favola. Irreale. Rassicurante. Niente a che vedere con la vera sensualità e l’erotismo drammatico e disperato di una Justine di de Sade, o di Histoire d’O, o dei romanzi di Anaïs Nin o di Henry Miller. E’ una curiosità maliziosa, un “vorrei ma non posso e se anche potessi non lo farei” che niente ha a che vedere col vero sesso spregiudicato. Il vero esercizio sadomasochista, credetemi, è leggerlo tutto.
di ANGELA CUTRERA
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