ATTENZIONE: la lettura di questa recensione contiene spoiler sull’intera trama del film ed è scritta con l’intento di stimolare una discussione critica con chi il film lo ha già visto. NON LEGGERE se non si vogliono avere anticipazioni.
Premessa
Arriva finalmente anche sui nostri schermi (nel resto del mondo è uscito il 20 luglio), il lungamente atteso capitolo conclusivo della saga di Batman diretta da Chris Nolan.
Il film si portava dietro un’eredità pesante, quella de “Il Cavaliere Oscuro” che, in parte per il magistrale lavoro di Nolan e Goyer e in parte per la grande performance del compianto Heath Ledger, è entrato di diritto nella storia del cinecomic e del cinema in generale, mostrando al mondo che è possibile fare film di supereroi che siano profondi e attuali.
Come ogni finale che si rispetti, anche questo “Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno” è chiamato a tirare le fila del discorso, riprendendo le trame lasciate in sospeso nei capitoli precedenti (molto difficile, se non impossibile, seguirne la trama come film stand-alone): poco azzeccato in tal senso il titolo originale “The Dark Knight Rises”, richiamo esplicito al film precedente (ancora più infelice la scelta italiana, forse atta a riecheggiare “Batman: il Ritorno” di Tim Burton, dove tra l’altro faceva la sua prima comparsa cinematografica la sensuale Catwoman, al tempo interpretata da Michelle Pfeifer), quando col dipanarsi della vicenda diventa sempre più chiaro quanto questo film abbia un legame molto più forte col capostipite della saga “Batman Begins”, rispetto che col suo successore.
Le Critiche
Iniziamo subito dicendo che questo “Ritorno” è un film riuscito solo a metà: è chiara l’aspirazione ad elevare l’epicità del racconto al massimo livello, narrando la rinascita di un eroe distrutto nel corpo e nello spirito e portando alle estreme conseguenze il tema del caos e dell’anarchia, filo conduttore dell’intera trilogia. La trama appare però fin troppo strumentale e addomesticata alle esigenze del regista.
Il film finisce pertanto per diventare un’allegoria, a tratti troppo simbolica e caricaturale per poter rispondere a quei criteri di credibilità ai quali Nolan si è affidato per contraddistinguere il suo lavoro dal resto del panorama dei cinecomics.
Intendiamoci: The Dark Knight Rises resta un’esperienza di livello ben più elevato rispetto ai vari “The Amazing Spider-Man” o “Lanterna Verde” (giusto per citarne uno per parte nell’eterna rivalità Marvel-DC Comics), ma il contorto procedere della trama rivela falle inaspettate e talvolta troppo ovvie per poter essere ignorate: può starci che Bane non uccida Batman e che lo rinchiuda in un posto dal quale sembri impossibile evadere (per quanto in realtà una via di fuga esista), mettendogli davanti un televisore dal quale seguire la disfatta e la distruzione di Gotham, ma dovrebbe perlomeno preoccuparsi di averlo definitivamente messo fuori gioco (spezzandogli la schiena, come nel fumetto, ad esempio), invece di lasciarlo in un luogo dove peraltro gli viene data una mano a rimettersi in sesto.
La stessa ubicazione di questa prigione (che sembrerebbe comunque trovarsi in una località esotica) e gli spostamenti da Gotham a lì non sono chiari: dopo aver catturato Bruce Wayne, Bane riesce a trasferirlo nel carcere nel tempo necessario affinché si risvegli e Wayne stesso, dopo essere evaso non sembra avere grosse difficoltà a tornare a Gotham (resta peraltro da capire come sia riuscito a farlo, dato che la maggior parte dei ponti erano stati distrutti e quelli ancora in piedi erano presidiati dalle forze armate).
Appare anche abbastanza comodo che la Wayne Enterprises abbia costruito una fonte di energia che in tre minuti può essere tramutata in una bomba atomica e che al contempo il reparto scienze applicate (peraltro chiuso da anni) abbia sfornato un mezzo volante appena in tempo per permettere al buon Batman di portare la stessa bomba lontano dalla città, in un epilogo, diciamocelo, piuttosto scontato.
Altra pecca è quella di aver disseminato nel corso di film molti indizi piuttosto evidenti di quello che dovrebbe essere il colpo di scena finale, ovvero la vera identità di Miranda Tate, nuovo presidente della Wayne Enterprises che si scoprirà essere niente popo di meno che la figlia del potente Ras Al Ghul. Nell’ordine ci vengono date le seguenti informazioni:
- Bane porta la maschera a causa di un’aggressione subita nel carcere;
- un bambino, molto probabilmente Bane, è l’unica persona che è riuscita a fuggire dal carcere (ma quando ci viene mostrata la scena il bambino non ha una maschera sul viso);
- il bambino fuggito è il figlio di Ras Al Ghul;
- durante la scena di sesso tra Bruce e Miranda notiamo che lei ha una cicatrice a forma di triangolo, segno di appartenenza alla Setta delle Ombre, ma il buon Wayne, sarà per la vecchiaia o perché al momento è in altro impegnato, non nota il particolare;
- ad un certo punto, durante il caos seguito all’insediamento di Bane a Gotham, l’uomo dice ai suoi scagnozzi di portarla da lui.
Anche senza conoscere la storia fumettistica di Batman (Nolan ha più volte dimostrato di seguirla solo quando può tornare utile alla storia che lui vuole narrare), non ci voleva certo molto a fare due più due e ad identificare il misterioso collaboratore di Bane.
Ci sarebbero poi da menzionare scelte discutibili come il fatto che John Blake avesse capito la vera identità di Batman da un semplice sguardo dato all’uomo in orfanotrofio, ma preferisco dedicare le ultime righe di critica all’orrendo doppiaggio italiano del film. Se ormai ci eravamo abituati a Santamaria come Wayne/Batman, la scelta di Filippo Timi per Bane e il suo approccio al personaggio sono intollerabili ed irritanti: negli USA si lamentavano che la pronuncia di Hardy attraverso la maschera fosse poco comprensibile e in italiano parla con un megafono. Consiglio a tutti una visione in lingua originale e alla Warner un ridoppiaggio per l’edizione home video.
I Temi
Finora le critiche, ma come già detto “Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno” rimane un’ottima pellicola ed i pregi sono innumerevoli.
Il film ha vari livelli di lettura: per quanto il film possa a prima vista sembrare politico (con riferimenti alla rivolta sociale e a movimenti come Occupy Wall Street) si tratta principalmente di una storia di amore e redenzione, veri motori scatenanti di tutte le vicende.
Da una parte abbiamo l’amore fraterno tra Bane e Talia, quello filiale e rabbiosamente vendicativo di Talia per il padre Ras e quello falso e manipolatore ancora una volta di Talia per Bruce (Miranda/Talia è inevitabilmente uno dei personaggi centrali, nonostante il poco spazio concessole).
Dall’altra la voglia di cancellare il passato per cominciare una vita nuova: è questa la principale motivazione che spinge nella mischia Selina Kyle, ma torna anche nelle scelte di Bruce Wayne, che al termine del film inscena la sua morte per potersi costruire una vita nuova. Seppur con un’accezione diversa è questo anche l’intento della setta delle Ombre: la purificazione attraverso la distruzione, l’espiazione delle colpe di una società che non può più sussistere.
Abbiamo poi il tema della rinascita, che trova una doppia allegoria nella prigione dalla quale Wayne dovrà evadere: da una parte la scalata dell’alto pozzo, unica via di fuga, è un simbolo della “resurrezione” dell’eroe, che torna a nuova vita, mentre dall’altra, l’analogia con il pozzo di casa Wayne, nel quale Bruce era caduto da piccolo entrando per la prima volta in contatto coi pipistrelli, è un segno di un ritorno alle origini, alle motivazioni che lo avevano portato a diventare Batman.
E’ poi interessante andare a rianalizzare l’intera trilogia alla luce di questo capitolo finale: come già detto uno dei temi principali portati avanti da Nolan nei tre film riguarda il comportamento della nostra società di fronte a forze distruttive atte a minarne la stabilità dall’interno.
In Batman Begins entravamo in contatto con un mondo corrotto, nel quale la criminalità era all’ordine del giorno: prima ancora dello Spaventapasseri e di Ras Al Ghul era l’accettazione del degrado morale il vero antagonista contro il quale Batman e Gordon si dovevano battere.
Ne “Il Cavaliere Oscuro” Nolan alza il tiro mostrandoci una Gotham che, tornata a credere nel valore della legalità, si ritrova ad affrontare la quintessenza dell’anarchia: Joker è un uomo folle e senza regole, determinato a distruggere la società dalle fondamenta, minandone i principi di civiltà. E se da una parte si scontra contro una città dal ritrovato onore e che rifiuta di abbrutirsi a costo della vita (emblematica la scena dell’evacuazione della città, quando Joker fa imbottire due traghetti, uno di civili ed uno di prigionieri, di esplosivo, recapitando a ciascuno il detonatore dell’altro e promettendo la libertà a chi farà detonare per prima la bomba), dall’altra va così vicino a raggiungere il suo intento, traviando Harvey Dent, l’uomo della speranza, e trasformandolo nel simbolo della disfatta di Gotham, da costringere Gordon e Batman a raccontare una menzogna per evitare il disastro.
In questo terzo film Gotham è una città finalmente sana e libera dalla criminalità. L’avvento di Bane giunge quindi forte ed inatteso: prima isola la città dal resto del mondo, poi mina la credibilità delle forze dell’ordine, rivelando la verità su Dent e infine da il potere al popolo e si mette apparentemente in disparte, osservando con distacco la civilizzata Gotham avvolgersi su se stessa, in attesa della sua inevitabile fine.
E’ interessante notare quanto Joker e Bane, i due villain più rappresentativi della saga, siano diversi uno dall’altro, contrapposti praticamente sotto ogni punto di vista:
- il Joker di Ledger è uno psicotico mingherlino e masochista, facile da piegare in uno scontro, mentre Bane al contrario è un combattente possente e apparentemente imbattibile;
- se per Joker il caos e l’anarchia sono le uniche regole della vita, per Bane sono solo strumenti per giungere ad un fine diverso: la purificazione;
- tanto Joker è impulsivo e spesso reagisce semplicemente agli eventi che lo circondano, tanto Bane è freddo e calcolatore ed ogni sua mossa è attentamente studiata;
- Joker è un uomo solo contro il mondo; Bane raduna un intero esercito di fedeli, così dediti al suo ideale da immolarsi per esso;
- Joker rimane un mistero, un personaggio del quale ci vengono date molteplici versioni del suo passato (tutte inequivocabilmente false) e nessun vero indizio di chi veramente sia, mentre alla fine del film Bane è quasi un libro aperto, un uomo mosso da forti ideali, ma soprattutto da un legame indissolubile.
Le conclusioni
Come al solito Nolan sforna un meccanismo ad orologeria troppo bello per non lasciarsi incantare: il film non ha paura di osare e si prende tempi impensabili per ogni altro cineasta alle prese con questo genere o con i colossal in generale.
I personaggi sono come sempre ben definiti e caratterizzati al punto tale da potersi identificare con ciascuno di loro e comprenderne le intenzioni (alla fine del film non c’è un perché fuori posto: è il come che di tanto in tanto è stato lasciato in sospeso o semplicemente omesso…).
Nolan ci mette ancora più in contatto con personaggi che conosciamo ormai bene, come Alfred e Bruce, il quale rapporto prende una piega inaspettata, ci mostra con Bane e Talia come non sempre il male è generato da altro male e ci regala una Catwoman credibile al punto tale da non avere bisogno del suo “nome da battaglia”: è semplicemente Selina Kyle, abile ladra esperta nel raggiro e nel ricatto ed abituata a vivere di espedienti e che d’improvviso si ritrova a fare i conti con una situazione più grande di lei, decidendo, per una volta, di pensare agli altri prima che a se stessa.
Ottimi tutti i nuovi innesti, da Marillion Cotillard a Tom Hardy, da Anne Hathaway a Joseph Gordon-Levitt (tre su quattro già con Nolan in Inception).
Bello anche il finale che però lascia molti più ponti aperti di quanto non fosse previsto: Bruce Wayne inscena la propria morte e scappa in Italia con Selina, Gotham erige un monumento in memoria di Batman e si prepara a compiangerlo, mentre nei sotterranei della villa Wayne, John Blake si prepara a prendene l’eredità. In una delle ultime scene scopriamo che quello che usa non è nemmeno il suo vero nome: in realtà si chiama Robin…
Arriva finalmente anche sui nostri schermi (nel resto del mondo è uscito il 20 luglio), il lungamente atteso capitolo conclusivo della saga di Batman diretta da Chris Nolan.
Il film si portava dietro un’eredità pesante, quella de “Il Cavaliere Oscuro” che, in parte per il magistrale lavoro di Nolan e Goyer e in parte per la grande performance del compianto Heath Ledger, è entrato di diritto nella storia del cinecomic e del cinema in generale, mostrando al mondo che è possibile fare film di supereroi che siano profondi e attuali.
Come ogni finale che si rispetti, anche questo “Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno” è chiamato a tirare le fila del discorso, riprendendo le trame lasciate in sospeso nei capitoli precedenti (molto difficile, se non impossibile, seguirne la trama come film stand-alone): poco azzeccato in tal senso il titolo originale “The Dark Knight Rises”, richiamo esplicito al film precedente (ancora più infelice la scelta italiana, forse atta a riecheggiare “Batman: il Ritorno” di Tim Burton, dove tra l’altro faceva la sua prima comparsa cinematografica la sensuale Catwoman, al tempo interpretata da Michelle Pfeifer), quando col dipanarsi della vicenda diventa sempre più chiaro quanto questo film abbia un legame molto più forte col capostipite della saga “Batman Begins”, rispetto che col suo successore.
Le Critiche
Iniziamo subito dicendo che questo “Ritorno” è un film riuscito solo a metà: è chiara l’aspirazione ad elevare l’epicità del racconto al massimo livello, narrando la rinascita di un eroe distrutto nel corpo e nello spirito e portando alle estreme conseguenze il tema del caos e dell’anarchia, filo conduttore dell’intera trilogia. La trama appare però fin troppo strumentale e addomesticata alle esigenze del regista.
Il film finisce pertanto per diventare un’allegoria, a tratti troppo simbolica e caricaturale per poter rispondere a quei criteri di credibilità ai quali Nolan si è affidato per contraddistinguere il suo lavoro dal resto del panorama dei cinecomics.
Intendiamoci: The Dark Knight Rises resta un’esperienza di livello ben più elevato rispetto ai vari “The Amazing Spider-Man” o “Lanterna Verde” (giusto per citarne uno per parte nell’eterna rivalità Marvel-DC Comics), ma il contorto procedere della trama rivela falle inaspettate e talvolta troppo ovvie per poter essere ignorate: può starci che Bane non uccida Batman e che lo rinchiuda in un posto dal quale sembri impossibile evadere (per quanto in realtà una via di fuga esista), mettendogli davanti un televisore dal quale seguire la disfatta e la distruzione di Gotham, ma dovrebbe perlomeno preoccuparsi di averlo definitivamente messo fuori gioco (spezzandogli la schiena, come nel fumetto, ad esempio), invece di lasciarlo in un luogo dove peraltro gli viene data una mano a rimettersi in sesto.
La stessa ubicazione di questa prigione (che sembrerebbe comunque trovarsi in una località esotica) e gli spostamenti da Gotham a lì non sono chiari: dopo aver catturato Bruce Wayne, Bane riesce a trasferirlo nel carcere nel tempo necessario affinché si risvegli e Wayne stesso, dopo essere evaso non sembra avere grosse difficoltà a tornare a Gotham (resta peraltro da capire come sia riuscito a farlo, dato che la maggior parte dei ponti erano stati distrutti e quelli ancora in piedi erano presidiati dalle forze armate).
Appare anche abbastanza comodo che la Wayne Enterprises abbia costruito una fonte di energia che in tre minuti può essere tramutata in una bomba atomica e che al contempo il reparto scienze applicate (peraltro chiuso da anni) abbia sfornato un mezzo volante appena in tempo per permettere al buon Batman di portare la stessa bomba lontano dalla città, in un epilogo, diciamocelo, piuttosto scontato.
Altra pecca è quella di aver disseminato nel corso di film molti indizi piuttosto evidenti di quello che dovrebbe essere il colpo di scena finale, ovvero la vera identità di Miranda Tate, nuovo presidente della Wayne Enterprises che si scoprirà essere niente popo di meno che la figlia del potente Ras Al Ghul. Nell’ordine ci vengono date le seguenti informazioni:
- Bane porta la maschera a causa di un’aggressione subita nel carcere;
- un bambino, molto probabilmente Bane, è l’unica persona che è riuscita a fuggire dal carcere (ma quando ci viene mostrata la scena il bambino non ha una maschera sul viso);
- il bambino fuggito è il figlio di Ras Al Ghul;
- durante la scena di sesso tra Bruce e Miranda notiamo che lei ha una cicatrice a forma di triangolo, segno di appartenenza alla Setta delle Ombre, ma il buon Wayne, sarà per la vecchiaia o perché al momento è in altro impegnato, non nota il particolare;
- ad un certo punto, durante il caos seguito all’insediamento di Bane a Gotham, l’uomo dice ai suoi scagnozzi di portarla da lui.
Anche senza conoscere la storia fumettistica di Batman (Nolan ha più volte dimostrato di seguirla solo quando può tornare utile alla storia che lui vuole narrare), non ci voleva certo molto a fare due più due e ad identificare il misterioso collaboratore di Bane.
Ci sarebbero poi da menzionare scelte discutibili come il fatto che John Blake avesse capito la vera identità di Batman da un semplice sguardo dato all’uomo in orfanotrofio, ma preferisco dedicare le ultime righe di critica all’orrendo doppiaggio italiano del film. Se ormai ci eravamo abituati a Santamaria come Wayne/Batman, la scelta di Filippo Timi per Bane e il suo approccio al personaggio sono intollerabili ed irritanti: negli USA si lamentavano che la pronuncia di Hardy attraverso la maschera fosse poco comprensibile e in italiano parla con un megafono. Consiglio a tutti una visione in lingua originale e alla Warner un ridoppiaggio per l’edizione home video.
I Temi
Finora le critiche, ma come già detto “Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno” rimane un’ottima pellicola ed i pregi sono innumerevoli.
Il film ha vari livelli di lettura: per quanto il film possa a prima vista sembrare politico (con riferimenti alla rivolta sociale e a movimenti come Occupy Wall Street) si tratta principalmente di una storia di amore e redenzione, veri motori scatenanti di tutte le vicende.
Da una parte abbiamo l’amore fraterno tra Bane e Talia, quello filiale e rabbiosamente vendicativo di Talia per il padre Ras e quello falso e manipolatore ancora una volta di Talia per Bruce (Miranda/Talia è inevitabilmente uno dei personaggi centrali, nonostante il poco spazio concessole).
Dall’altra la voglia di cancellare il passato per cominciare una vita nuova: è questa la principale motivazione che spinge nella mischia Selina Kyle, ma torna anche nelle scelte di Bruce Wayne, che al termine del film inscena la sua morte per potersi costruire una vita nuova. Seppur con un’accezione diversa è questo anche l’intento della setta delle Ombre: la purificazione attraverso la distruzione, l’espiazione delle colpe di una società che non può più sussistere.
Abbiamo poi il tema della rinascita, che trova una doppia allegoria nella prigione dalla quale Wayne dovrà evadere: da una parte la scalata dell’alto pozzo, unica via di fuga, è un simbolo della “resurrezione” dell’eroe, che torna a nuova vita, mentre dall’altra, l’analogia con il pozzo di casa Wayne, nel quale Bruce era caduto da piccolo entrando per la prima volta in contatto coi pipistrelli, è un segno di un ritorno alle origini, alle motivazioni che lo avevano portato a diventare Batman.
E’ poi interessante andare a rianalizzare l’intera trilogia alla luce di questo capitolo finale: come già detto uno dei temi principali portati avanti da Nolan nei tre film riguarda il comportamento della nostra società di fronte a forze distruttive atte a minarne la stabilità dall’interno.
In Batman Begins entravamo in contatto con un mondo corrotto, nel quale la criminalità era all’ordine del giorno: prima ancora dello Spaventapasseri e di Ras Al Ghul era l’accettazione del degrado morale il vero antagonista contro il quale Batman e Gordon si dovevano battere.
Ne “Il Cavaliere Oscuro” Nolan alza il tiro mostrandoci una Gotham che, tornata a credere nel valore della legalità, si ritrova ad affrontare la quintessenza dell’anarchia: Joker è un uomo folle e senza regole, determinato a distruggere la società dalle fondamenta, minandone i principi di civiltà. E se da una parte si scontra contro una città dal ritrovato onore e che rifiuta di abbrutirsi a costo della vita (emblematica la scena dell’evacuazione della città, quando Joker fa imbottire due traghetti, uno di civili ed uno di prigionieri, di esplosivo, recapitando a ciascuno il detonatore dell’altro e promettendo la libertà a chi farà detonare per prima la bomba), dall’altra va così vicino a raggiungere il suo intento, traviando Harvey Dent, l’uomo della speranza, e trasformandolo nel simbolo della disfatta di Gotham, da costringere Gordon e Batman a raccontare una menzogna per evitare il disastro.
In questo terzo film Gotham è una città finalmente sana e libera dalla criminalità. L’avvento di Bane giunge quindi forte ed inatteso: prima isola la città dal resto del mondo, poi mina la credibilità delle forze dell’ordine, rivelando la verità su Dent e infine da il potere al popolo e si mette apparentemente in disparte, osservando con distacco la civilizzata Gotham avvolgersi su se stessa, in attesa della sua inevitabile fine.
E’ interessante notare quanto Joker e Bane, i due villain più rappresentativi della saga, siano diversi uno dall’altro, contrapposti praticamente sotto ogni punto di vista:
- il Joker di Ledger è uno psicotico mingherlino e masochista, facile da piegare in uno scontro, mentre Bane al contrario è un combattente possente e apparentemente imbattibile;
- se per Joker il caos e l’anarchia sono le uniche regole della vita, per Bane sono solo strumenti per giungere ad un fine diverso: la purificazione;
- tanto Joker è impulsivo e spesso reagisce semplicemente agli eventi che lo circondano, tanto Bane è freddo e calcolatore ed ogni sua mossa è attentamente studiata;
- Joker è un uomo solo contro il mondo; Bane raduna un intero esercito di fedeli, così dediti al suo ideale da immolarsi per esso;
- Joker rimane un mistero, un personaggio del quale ci vengono date molteplici versioni del suo passato (tutte inequivocabilmente false) e nessun vero indizio di chi veramente sia, mentre alla fine del film Bane è quasi un libro aperto, un uomo mosso da forti ideali, ma soprattutto da un legame indissolubile.
Le conclusioni
Come al solito Nolan sforna un meccanismo ad orologeria troppo bello per non lasciarsi incantare: il film non ha paura di osare e si prende tempi impensabili per ogni altro cineasta alle prese con questo genere o con i colossal in generale.
I personaggi sono come sempre ben definiti e caratterizzati al punto tale da potersi identificare con ciascuno di loro e comprenderne le intenzioni (alla fine del film non c’è un perché fuori posto: è il come che di tanto in tanto è stato lasciato in sospeso o semplicemente omesso…).
Nolan ci mette ancora più in contatto con personaggi che conosciamo ormai bene, come Alfred e Bruce, il quale rapporto prende una piega inaspettata, ci mostra con Bane e Talia come non sempre il male è generato da altro male e ci regala una Catwoman credibile al punto tale da non avere bisogno del suo “nome da battaglia”: è semplicemente Selina Kyle, abile ladra esperta nel raggiro e nel ricatto ed abituata a vivere di espedienti e che d’improvviso si ritrova a fare i conti con una situazione più grande di lei, decidendo, per una volta, di pensare agli altri prima che a se stessa.
Ottimi tutti i nuovi innesti, da Marillion Cotillard a Tom Hardy, da Anne Hathaway a Joseph Gordon-Levitt (tre su quattro già con Nolan in Inception).
Bello anche il finale che però lascia molti più ponti aperti di quanto non fosse previsto: Bruce Wayne inscena la propria morte e scappa in Italia con Selina, Gotham erige un monumento in memoria di Batman e si prepara a compiangerlo, mentre nei sotterranei della villa Wayne, John Blake si prepara a prendene l’eredità. In una delle ultime scene scopriamo che quello che usa non è nemmeno il suo vero nome: in realtà si chiama Robin…
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